L’Arte di Non Fare: Il Passaggio Essenziale per Raggiungere il Vuoto Interiore

Per comprendere il significato dell’arte del non fare prima bisogna capire le implicazioni energetiche dietro il “fare”: riflettere sulla differenza tra attività, passività e ricettività, domandare perché il “fare” è prediletto, e scoprire dove nasce l’idea che agire è sempre la soluzione migliore piuttosto che aspettare e discernere quando è più appropriato per agire oppure no.

Il Fare

La definizione di fare in sintesi è: esibirsi in un modo specifico in una particolare situazione o in un dato periodo. Sebbene la descrizione appaia semplice, per quanto riguarda il funzionamento dell’energia umana, le cose possono complicarsi.

Il “fare”, intesa come agire, appartiene alla posizione anteriore del plesso solare. Richiede essere attivi e dinamici ed è un’energia magnetica, penetrante di polarità maschile che si muove verso l’esterno.

Tuttavia, quando la dimensione anteriore di questo chakra è sbilanciata con la sua controparte femminile posteriore, la nostra interpretazione del “fare” è unipolare, portandoci a credere che sia l’unica opzione per “ottenere” o “avere”.

Di conseguenza, il “fare” per “avere” è diventato un’associazione mentale inflessibile.

Siamo in un’epoca in cui questo chakra è esplosivo e prepotente perché l’energia espressa è ancora prevalentemente anteriore (maschile), mentre la dimensione posteriore del chakra, e le sue qualità femminili sono praticamente assente.

Bilanciare entrambe le dimensioni è tassativo per chi sta lavorando per essere presente nel chakra del Cuore, perché solo quando entrambe le dimensioni vibrano in sincronicità, il Cuore apre le porte alla sua coscienza quadridimensionale (4D).

L’Attività

La definizione di attività da dizionario è: essere attivi, operosi, instancabili, agire, muoversi, operare, dedicarsi attivamente a un lavoro.

Il terzo chakra, tra le tante cose, è la sede dell’ombra, del pendolo dualistico, del giudice interiore, del controllo, della giustizia e della lotta per il potere personale, sia in ambito lavorativo che interpersonale e sociale.

Tra l’esercizio del potere esecutivo e la sua controparte – sovranità e libertà personale, se prima questa lotta energetica era trascurata dalla maggior parte del pubblico, ora è diventata oggetto di dibattito.

Se il centro di potere funziona in modo errato, ad esempio: causa/fare/azione = effetto/manifestazione/soluzione/avere, emergono le qualità d’ombra del secondo chakra, il che significa che le persone sono più disposte a sacrificare la propria sovranità nel tentativo di tornare alla normalità (stabilità emotivo).

Quando le persone agiscono sulla base di un impulso emotivo, non rispondono in modo razionale, e accetteranno più facilmente ciò che viene proposto come “giusto” o “vero”, perché è un mezzo per placare i sentimenti emotivi sottostanti che vibrano di paura, panico, ansia ecc.

A causa dei giochi di potere del terzo chakra, sorgono due domande: chi stabilisce il “giusto” e “vero” e, quale lato del pendolo ne trarrà vantaggio?

Questa è una bella domanda perché a causa del suo funzionamento anteriore predominante (polarità maschile) il terzo chakra esprime il suo potere tramite opposti quali: padrone/servitore, governo/popolo, vincitori/perdenti ecc.

L’azione, quindi, è competitiva e talvolta bellicosa (chi vince e chi perde), separando le persone nelle categorie di quelli che stabiliscono le regole e quelli che sono obbligati a seguirle; in altre parole: nel regno del terzo chakra squilibrato la giustizia non è uguale per tutti!

Quando il terzo chakra è unipolare non c’è collaborazione, uguaglianza o unità. Le qualità di eguale diritto si sviluppano solo quando entrambi i poli del chakra si equilibrano, che di conseguenza poi si collega al Cuore.

Come accennato in precedenza, sebbene “fare il proprio dovere” sia una qualità del terzo chakra, quando funziona in modo irregolare molte delle nostre azioni doverose sono pilotate da qualità d’ombra inconsce e irrisolte del secondo chakra, come il sacrificio.

Il sacrificio non è da confondere con il dono, che è una scelta consapevole di dare incondizionatamente priva di ogni aspettativa di ricevere.

Il sacrificio, d’altra parte, finirà per innescare un senso di risentimento piuttosto che di valore e, non garantisce di ricevere nulla in cambio; una azione pilotata dal desiderio/aspettativa o dal sacrificio non è una conclusione scontata per quanto riguarda la legge del causa/effetto, se fosse così, raccoglieremmo tutti i frutti dei nostri desideri e delle nostre azioni doverosi e sacrificali!

Avete notato che ci sono alcuni aspetti della vita che mancano di qualità o abbondanza, ma qualunque cosa “facciamo” o quanto proviamo o sacrifichiamo, sembra impossibile colmare la carenza?

Se è così, siete già consapevoli che un’azione o un sacrificio non assicura un profondo senso di valore e/o la manifestazione dei propri desideri.

Questa consapevolezza indica che la dimensione posteriore del terzo chakra è pronta ad espandere la sua coscienza, cambiando di conseguenza la nostra prospettiva che collega il valore al sacrificio e al doveroso, duro lavoro verso una visione più autentica: che i piccoli e semplici gesti spontanei dal cuore sono di enorme valore!

La Passività

Per il dizionario la definizione di passività è: [atteggiamento di chi subisce o accetta senza reagire all’azione degli altri o all’influenza di forze esterne] ≈ abulia, apatia, immobilità, indolenza, inerzia, sottomissione, resa, indifferenza e rassegnazione.

In generale, la passività non è incoraggiata nell’educazione. Per i bambini della mia generazione, il piacere (2° chakra) veniva barattato con i doveri; prima il dovere e poi il piacere!

Il tempo speso in compiti e doveri (3° chakra) significava dimostrare che non eri pigro o nessuna delle qualità descritte sopra.

Il presupposto che investendo grandi quantità di tempo ed energie nel “fare” significasse automaticamente che la “qualità” complessiva fosse ottimale, rafforzava l’idea che sacrificare “sangue, sudore e lacrime” (come si dice in inglese) desse valore all’impegno.

Personalmente ricordo che dovevo rivedere i compiti e doveri se finivo troppo in fretta perché significava che non li avevo fatti correttamente o, peggio ancora, avevo troppo tempo per giocare, che corrispondeva a non fare nulla; di conseguenza, fu costretta a sacrificare o/a rubare momenti di piacere, perché il piacere/tempo libero non era un diritto, aveva un prezzo.

Quando finalmente ho incontrato l’arte del non fare, lo smantellamento di questo condizionamento mi ha fatto letteralmente impazzire!

Oggi sono consapevole che questo tipo di educazione non è la base migliore per entrare in un ambiente di lavoro, e ancor meno in una relazione affettiva, perché richiede relazioni complicate e situazioni lavorative faticose che hanno valore solo e quando si sacrifica molto tempo ed energie.

Man mano che l’indagine sul “fare” si approfondisce diventa chiaro che si tratta di una compensazione per la “mancanza di”.

La cultura di “fare” per “avere” ci viene imposta con i vari “devi e non devi “ (3° chakra) regole precise che hanno formato l’ego da 0-3 anni, le stesse regole che hanno interferito con il nostro potere personale e la capacità di manifestare in modo soddisfacente e creativo attraverso la legge di risonanza (leggi di più qui).

È ovvio che non c’è niente di male quando “fare” per “avere”, come meccanismo di compensazione alla mancanza di qualcosa è applicato in modo pratico.

Per esempio: “fare” la spesa al supermercato quando non c’è niente da mangiare in casa, oppure, “fare” un impiego per mantenersi economicamente, ma cosa succede quando il “fare” diventa l’unica opzione per manifestare/avere ciò che, secondo noi, manca?

La risposta sta nel “secondo noi”.

Il terzo chakra è il regno della mente/ego che desidera ciò che gli manca e poi, se o quando lo ottiene, desidera qualcos’altro. In altre parole, vive nella dimensione della mancanza, perché non si accontenta mai e vuole sempre di più!

Questa illusione è tipica in un terzo chakra sbilanciato con varie interferenze vibrazionali (attenzione, non chiuse o bloccate). Ed è per questo che il plesso solare è la sede dello stress, dell’ansia, dell’angoscia, della delusione e della frustrazione, sentimenti che si innescano quando non riusciamo a soddisfare l’affamato bisogno dell’ego di “avere”.

La Ricettività

La definizione di ricettività dei dizionari è: Atteggiamento a ricevere impressioni attraverso uno stimolo esterno.

Questa descrizione superficiale implica la scarsa considerazione per questa particolare qualità necessaria per bilanciare gli opposti attività e passività.

In sintesi, la ricettività è quello spazio in mezzo, il perno del pendulo dualistico. Per intendere, è la seconda posizione dell’atleta che si prepara per la gara di corsa.

La prima posizione è la passività perché l’atleta è inginocchiato a terra.

La seconda posizione è la ricettività. Ora con solo la punta delle dita a terra, l’atleta alza il sedere. Il corpo è inattivo (passivo) ma teso (attivo) e ogni muscolo e tendine è pronto per lo sprint. L’atleta è in attesa e in ascolto, pronto a cogliere l’attimo in cui sente lo sparo di partenza.

E  ovviamente la terza fase è l’attività, cioè la gara.

Essere ricettivi significa discernere quando è il momento giusto, quando è opportuno agire o rimanere fermi (terza chakra posteriore).

La domanda pertinente è: perché non ci viene insegnato il valore della ricettività?

La risposta sta nell’identificazione dell’io e del suo rapporto con “ fare” per “avere”.

È un meccanismo mentale dualistico/moralistico che si identifica con i ruoli che corrispondono ai propri contenuti condizionati. Avere un ruolo, un titolo e dei possedimenti stabilisce una certa posizione sociale (io sono…titolo).

Per mantenere le proprie maschere, una persona è tenuta a seguire le regole dell’ego, il cui obiettivo è evitare il vuoto interiore (mancaza di), identificarsi di conseguenza, con la falsa personalità che non riconosce l’essere autentico. 

L’ego funziona in risonanza con la coscienza tridimensionale.

Prima che una persona sviluppi la consapevolezza dell’essere, ha bisogno di svuotare la sua cosiddetta “tazza di tè piena” (storia zen), interrompendo la ricerca maniacale dell’ego di “fare” portata avanti dalla sua ossessione per “avere”.

Questo richiederà l’applicazione della ricettività, ovvero l’arte del non fare.

Chi entra nel regno del vuoto lo raggiunge solo dopo aver perso o rinunciato all’identificazione con la maggior parte dei propri ruoli, titoli e possedimenti. Non è un sacrificio voluto, ma un processo naturale che avviene quando l’impulso e l’associazione tra agire/avere è spezzato.

È possibile sviluppare l’arte del non fare?

La risposta sta ancora una volta nel plesso solare, ma questa volta nella parte posteriore del chakra.

Abbracciare le sue qualità femminili che includono: arrendevolezza, flessibilità, ricarica (sistema nervoso) e “let it be”, ovvero, lascia che sia, in altre parole, se/quando si abbandona il controllo.

Quando sorge la consapevolezza che nessuno ha potere sugli altri e sugli eventi della vita, si sostituisce l’impulso di lottare o sottomettersi con la ricettività e l’arte del non fare.

Ora, l’energia dell’azione (re-azione) fluisce in risposta, dando origine alla capacità di aspettare e discernere quando è più opportuno agire o meno. Questo ci permetterà di collaborare attivamente al processo di cambiamento che la vita ci chiede di fare; che probabilmente non sarà in linea con il desiderio dell’ego, ma sarà ciò che è necessario per espandere la nostra consapevolezza.

Nessuno può forzare l’arte del non fare, perché i nostri corpi e menti sono programmati e calibrati in risonanza con la coscienza tridimensionale.

Quella che ci vuole è un cambiamento di coscienza.

Quando la coscienza si risveglia all’interno della dimensione posteriore del terzo chakra, l’energia tra le parti anteriore e posteriore iniziano a unirsi innescando un’eclissi dell’essere.

La dualità ora si sovrappone come la luna quando oscura il sole, e veniamo catapultati nella quarta dimensione e nel mistero del vuoto.

Quanto durerà questo periodo?

Questa è una domanda a cui nessuno può rispondere.

Finché queste polarità eclissate non saranno bilanciate, l’ego si comporterà come il bambino piccolo al supermercato che urla e scalcia perché la mamma ha detto “no” alla sua richiesta di avere l’uovo kinder alla cassa.

In questo caso è il Cuore, il Maestro, e non la mamma che ha il compito di ridimensionare l’io sovradimensionato con pazienza, compassione e amore in modo che diventi il suo l’abile, fedele servitore, perché in questa dimensione priva di dualità, la lotta non esiste, ma può farci sentire pienamente tutto i dolori del bambino/a interiore finché non nasca la consapevolezza che è una causa persa, (mollare il controllo), perché nella dimensione governata dalla legge dell’uno, il Cuore non “fa” e non “ ha”, il Cuore semplicemente è…

Dall’eclisse dell’essere al mistero del vuoto

Ed è qui che molti di noi si trovano oggi, nel vuoto della quarta dimensione. Spogliati del nostro senso di “avere”, vivendo con un enorme ” mancanza di…”. incapaci di fare ciò che una volta era automatico e sentendosi a disagio perché non siamo più in risonanza con la terza dimensione.

Personalmente, “stare” nel vuoto è ancora molto scomodo, è come stare con una corda al collo che pian piano si stringe. Ciclicamente la mia realtà si rimpicciolisce e mi adeguo, ma poi appena comincio a sentirmi un po’ più a mio agio, la realtà si rimpicciolisce ancora una volta e di nuovo la corda si stringe.

Queste contrazioni del vuoto vanno avanti da quasi cinque anni, solo di recente ho preso coscienza del processo come mezzo per lasciar andare la paura dell’ego di non riuscire a sopravvivere, insieme alla tristezza che pesa, quella sensazione infantile di aver deluso le aspettative dei miei genitori perché ho praticamente perso tutto ciò per cui ho lavorato in questo mondo materiale per renderli orgogliosi; perché ora, la mia vita non assomiglia più alla loro visione di una persona di successo.

La resa è un processo di apprendimento o un evento?

Posso sbagliarmi, ma sospetto che da questo momento in poi potrò progredire solo quando troverò il coraggio di addentrarmi più in profondità nel vuoto, facendo un atto di fede, come una caduta libera da un aereo in un buco nero senza sapere cosa sia in fondo.

La paura è grande e mi sento come se fossi sul precipizio, aggrappandomi a quella sensazione di paura, per non parlare della speranza che qualcosa mi salverà all’ultimo minuto così non dovrò rischiare di fare quel salto nel buio!

Anche se sono consapevole di ingannare me stesso, il punto è: sono ancora attaccato, anche se per un filo, a quello che mi definisce come individuo.

La domanda “chi sono io?” ha una sola risposta: nessuno, ed è questa l’essenza di ciò che la mia mente sta cercando di evitare.

La resa, quindi, non è un evento, ma un processo di apprendimento che avviene quando si perde ogni identità.

È la metafora di Osho che parla della goccia di rugiada aggrappata alla rosa che vuole evitare di cadere nell’oceano dell’esistenza, non si rende conto che un singolo goccia è niente, invece cadendo nell’oceano diventa una forza arrestabile!

La mia goccia di rugiada cadrà solo quando sarò armonioso, quando non sarò nel caos, in conflitto, ma in profonda armonia con il mio essere.

Capisco il concetto, ma non riesco ancora a sperimentarlo, anche se oggi accetto che questo procedimento non è governato dal tempo o dal mio desiderio di completare il processo.

La vita stessa è una tela vuota; diventa ciò che ci dipingi sopra. Puoi dipingere l’infelicità, puoi dipingere l’estasi. Questa è la tua gloria – Osho.

La nostra sfida è cancellare gli schizzi di vernice e gli scarabocchi che altri hanno dipinto sulla nostra tela, una volta puliti e svuotati possiamo dipingere l’estasi in tutto il suo splendore; questa è la nostra responsabilità, la nostra gloria.

Sapere quando l’opera è finita è la volontà di Dio.

Con Amore & Compassione

Caroline Mary Moore

 

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